Testo di Piero Pignatelli
Sci di frassino ai piedi, pochi impianti esistenti, e qualche volenteroso a battere le piste. Così si sciava a Cortina negli anni ’40. Ce lo racconta un “ragazzo del ’26” che lì ha trascorso l’adolescenza.
Ho fatto un sogno: sono ritornato un ragazzo di 14 anni, ed ero a Cortina d’Ampezzo. Frequentavo l’istituto privato Antonelli, dove si studiava poco e si rendeva meno. E ciò si manifestava quando era il momento di presentarsi agli esami in un istituto pubblico a Merano o a Bolzano.

In quel tempo Cortina d’Ampezzo viveva una vita mondana e brillante, con grandi alberghi frequentati dalla bella gente della ricca borghesia, qualche nobile, i politici di turno (cioè fascisti). Il principe di Piemonte frequentava l’Hotel Bellevue, dove incontrava Edda Ciano. Il Duca d’Aosta stava all’Hotel Savoia. E poi c’erano giornalisti affermati, quelli che potevano permettersi un soggiorno a Cortina.
Ovviamente la mondanità non esisteva per noi ragazzi, che non partecipavamo alle feste da ballo o ai tè danzanti che si tenevano al Cristallino. Ci limitavamo agli sport: il tennis d’estate e lo sci d’inverno. Esistevano anche diversi campi di pattinaggio, alcuni nei principali alberghi e altri in un grande patinoire pubblico che d’estate si trasformava in una serie di campi da tennis.

Poche le piste da sci negli anni ’40, limitate al Pocol, dove si arrivava con una funivia a due piloni e dove esisteva un gancio che portava fino alla sommità. Da qui una discesa di qualche chilometro senza particolari difficoltà, la “Polveriera”, che arrivava al fondovalle dove scorreva il torrente Boite. Un’altra funivia – tuttora in esercizio – era quella che arrivava sul monte Faloria. Da qui si saliva poi con uno skilift ai Tondi del Faloria. Era tutto ben diverso, insomma, rispetto a quello che offre oggi Cortina.

Esisteva anche una slittovia (una sorta di funicolare) per il Col Druscè, da cui si poteva scendere con gli sci. Invece da Pocol si raggiungeva il passo Falzarego con le pelli di foca, e da qui ci si poteva lanciare in una lunga lunga discesa per tornare a Pocol e poi a fondovalle.
Ovviamente gli sci non erano quelli odierni: bensì costruiti in frassino o icori (un legno molto utilizzato negli anni ’30), laminati. Però bisognava usarli con la sciolina giusta, che andava scaldata con un ferro caldo per farla aderire al fondo, e aveva comunque una durata limitata. Se si sbagliava sciolina, si otteneva l’effetto opposto: gli sci frenavano anziché correre.
Chi non poteva permettersi le funivie, si accontentava dei cosiddetti campetti di sci su brevi alture: si saliva a scaletta e si scendeva a spazzaneve o a cristiania per ore e ore, con qualche piccola soddisfazione.
Più spettacolare la discesa in sci da Mandres (a mezza strada dal Faloria). Qui mi è capitato anche di fare da apripista alla gara di un gruppo di villeggianti. Al termine della zona boscosa, dove la neve era compatta, arrivai in velocità al traguardo: con il sole pieno negli occhi e il fondo sfatto per il caldo. Mi arrestai così bruscamente, da finire lungo disteso ai piedi degli spettatori che attendevano l’arrivo dei partecipanti alla gara. Occhiali a pezzi, viso insanguinato, primi soccorsi e una grande vergogna.
In estate, invece, le escursioni in montagna erano meno frequenti di oggi. Ricordo ancora una gita in vetta alla Tofana di Rozes, senza l’ausilio della funivia di Pocol perchè la partenza era fissata per il mattino molto presto. Ho ancora una foto scattata sulla cima. Con me c’erano Marisa Manaigo (oggi proprietaria dell’Hotel Posta) e Vera Menardi (dell’Hotel Bellevue).
La mia passione era anche la bicicletta. Me l’ero procurata vendendo una collezione di francobolli, raccolta con pazienza e fatica. Ma si trattava di una specie di relitto, seppure con cambio Wissner. Infatti un giorno, lungo una discreta discesa, il manubrio si è spezzato e io sono precipitato a terra.
Non ho però mai cessato di pedalare. Ricordo che una volta, con l’amico Marcello Zangiacomi, ho raggiunto Conegliano Veneto per rivedere alcuni amici. Cento chilometri di percorso. Ma il ritorno lo facemmo in treno, lungo quella ferrovia delle Dolomiti che 70 anni fa, con i suoi vagoni bianco/azzurro, collegava Cortina con Dobbiaco e Calalzo. Oggi è diventata una pista per ciclisti e runner. Proprio quella dove si corre ogni anno una delle gare più suggestive: appunto la Cortina-Dobbiaco.
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