Sergio Rocca – architetto, rocciatore e montanaro – non si limita a progettare le case per i suoi clienti. Prima di accettare il lavoro, li porta in viaggio con sè. A conoscere la montagna e la gente che ci vive.
Il personaggio di cui vogliamo parlarvi oggi non è un atleta, e non ha nemmeno a che fare con il mondo dello sport (se non per il fatto che arrampica). Però è un personaggio che ci ha regalato interessanti spunti di riflessione. Lo abbiamo incontrato in occasione del Milano Montagna Festival, che quest’anno ha visto anche la piacevole novità di un fuori festival con un ricco menù di eventi. Tra questi la mostra “Salvaguardia della montagna attraverso l’arte, l’architettura e la roccia”, organizzata in partnership dalla galleria Rubin e dal brand di architettura 37100.
E qui entra in gioco il nostro uomo: Sergio Rocca, classe 1967, “papà” del brand 37100. Progettista e interior design, Rocca vive a Verona ma è di origine trentina. Le Dolomiti le ha nel sangue, e appena ha un po’ di tempo libero corre ad arrampicare in free. Professionalmente parlando, ha mosso i primi passi in un laboratorio di falegnameria dove si è “sporcato le mani” con il lavoro manuale, che non ha mai più rinnegato. Anzi, ne ha fatto il cavallo di battaglia di 37100.
Infatti questo studio di progettazione, legato soprattutto all’architettura di montagna, ha voluto sempre valorizzare il lavoro degli artigiani. L’idea originaria era appunto quella di fornire case “chiavi in mano” a prezzo fisso, realizzate da falegnami, decoratori, fabbri che – ognuno nel suo settore – rappresentavano autentiche eccellenze.
“Poi – racconta Rocca – è arrivata la crisi. La gente ha smesso di comperare seconde case in montagna. Io me ne sono andato all’estero a lavorare e ho messo da parte il mio progetto”. Però il suo team non si era dimenticato di lui. Sono stati proprio gli artigiani del Trentino Alto Adige a chiedergli di rientrare in Italia e riprovarci.
“Il problema – continua Rocca – è che ormai era scomparsa quella classe media dotata di gusto e cultura, capace di apprezzare (e valutare correttamente) il lavoro dei maestri artigiani”. I nuovi ricchi, gli unici in grado di commissionare progetti, di montagna conoscevano ben poco. Arrivavano con spirito da conquistatore. Non erano in grado di capire il lavoro, la fatica, lo spirito, le tradizioni centenarie che stanno dietro a ogni dettaglio.
Nelle malghe e sulle pareti di roccia
Di qui l’idea di Sergio Rocca di trasformarsi in architetto-educatore. Se vuoi abitare in montagna, non devi tradire lo spirito del luogo. Questo, in pratica, l’aut-aut che oggi lui pone ai suoi clienti. “Non voglio che le montagne siano colonizzate e che la loro cultura vada dispersa – dice -. Così adesso, quando mi commissionano un progetto, io porto i miei clienti in viaggio con me. Li faccio entrare nei laboratori degli artigiani, li spingo a osservare come lavorano e come vivono. Li accompagno nelle malghe, a parlare con i casari. Voglio che colgano il senso della fatica e della dignità che animano queste persone. E poi li porto a scalare: è sulla roccia che si capisce il senso della pazienza, dell’impegno, della fatica nel raggiungere un risultato. Insomma, farsi costruire una casa in montagna deve essere una scelta consapevole. In nome del rispetto dell’ambiente e dell’etica alpina”.
Il potere del sogno
“L’obiettivo è educare chi può spendere, per aiutare le persone che hanno fatto scelte difficili in nome della continuità delle tradizioni. Non è facile, ma io ci provo”. Qualcuno potrebbe definire Sergio Rocca un sognatore. E lui non ne sarebbe certo offeso. Anzi. Insieme allo scalatore Nicola Tondini, Rocca ha avviato il progetto di un film dedicato alla montagna, che sarà presentato il prossimo aprile durante il Trento Film Festival. E che i due siano sulla buona strada, lo dimostra anche il fatto che nel progetto hanno accettato di essere coinvolti personaggi del calibro di Reinhold Messner, Cristoph Hainz, Heinz Mariacher e Hansjorg Auer.

Il titolo del film? “Non abbiate paura di sognare”, appunto. Pensato per interagire con altri mondi quali l’architettura, l’arte, il design e la spiritualità, il film vuole proporre un esempio di salvaguardia dei territori e delle tradizioni suggerendo un modello di arrampicata diverso da quello corrente. Vale a dire un modello in cui sia previsto anche l’insuccesso. “Dai primi decenni del Novecento ad oggi – dice Tondini – si sono aperte vie sempre più dirette verso le cime, grazie all’uso di supporti tecnici. Ma l’alpinismo – come suggerisce Messner – deve essere purezza, capacità di rinuncia, voglia di mettersi in gioco attraverso l’arrampicata libera”.
By the way, Nicola Tondini arrampicando in questo modo ha realizzato quella che ad oggi è la scalata con il maggior grado (X°) mai raggiunto sulle Dolomiti. La sua via, aperta sulla parete sud Ovest della cima Scotoni, diverrà nel film il filo conduttore di storie e scelte di vita.
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