Yulia Baykova, atleta Vibram, ci racconta come è riuscita a uscire dal tunnel di una malattia mortale, come sta affrontando l’emergenza Coronavirus, cosa farà una volta che tutto questo sarà finito.
Il prossimo 6 giugno, Yulia Baykova compirà 37 anni. Non sono pochi, ma nemmeno tanti per una campionessa di trail running come lei. Però i 37 anni di Yulia probabilmente “pesano” molto più di quelli dei suoi coetanei in termini di esperienze di vita, atteggiamento mentale, approccio alle gare.
Già, perché Yulia – nata in Lettonia da genitori russi, trasferita in Italia nel 2005, sposata con l’italiano Vincenzo Bertina – nel suo curriculum non ha infilato soltanto una serie di medaglie conquistate in alcune delle più prestigiose gare di trail running. Ma anche un’esperienza che l’ha segnata profondamente.
Nel 2015, infatti, Yulia doveva partecipare alla Ronda Ghibellina (una competizione che si tiene in provincia di Arezzo). Non stava bene, pensava di avere l’influenza ma era comunque partita classificandosi terza donna. Però le sue condizioni peggioravano. Dopo qualche giorno la diagnosi: miocardite infettiva, un’infezione che colpisce il muscolo cardiaco.
Terapia intensiva, Yulia che combatte come un leone, complicazioni che fanno temere per la sua vita (a un certo punto un’emorragia quasi la uccide), e infine un lungo periodo di riabilitazione. Quando – dopo mesi – Yulia riesce a camminare per 400 metri, le sembra di toccare il cielo con un dito. “A salvarmi – dice – sono stati tutti quelli che si sono impegnati per tenermi in vita e hanno creduto in me”.
– Fra questi anche Vibram, che ti ha accolto nel team dei suoi atleti subito dopo la malattia.
Sì, è stato così. Dal 2016 faccio parte del team Vibram. Quando ho cominciato a riprendermi, non avevo speranze che qualcuno credesse in me. Il virus che mi aveva colpito era mortale. Quell’anno, nel 2015, ero stata l’unica persona a sopravvivere a quella malattia.
– Anche le esperienze più tragiche, hanno qualcosa da insegnare…
Ho imparato che basta un soffio per sparire. Che davvero camminiamo tutti sul filo di un rasoio. Mi sono confrontata con le statistiche. Fino a quando non sei toccato personalmente, non ci pensi. Ma in realtà ogni anno migliaia di persone muoiono per influenze e virus. Siamo sempre esposti, e quello che sta succedendo ora con il Coronavirus lo dimostra. Quello che davvero è importante, è avere un sistema immunitario forte, capace di reagire. Probabilmente il mio era sotto stress in quel periodo. Perché i grandi sforzi fisici indeboliscono le difese immunitarie. Chi fa una gara, anche se non è un professionista, comunque “spinge”. Cerca di dare il masssimo. E l’organismo si affatica.
– Che differenza c’è ora per te tra il “prima” e il “dopo”? Come è cambiato il tuo approccio alla vita e alle gare?
Prima forse mi sentivo più sicura di me stessa. Ora spesso mi assalgono i dubbi. Certo, il fatto di avere superato una prova difficile come quella malattia, da un certo punto di vista mi infonde coraggio. So che sono forte e che posso lottare, reagire. Ma è come se dentro di me fosse sempre attiva una “funzione salva-vita” che mi impedisce di esagerare, di tirare troppo. C’è sempre un fondo di insicurezza, che influisce sulla testa e di conseguenza sulle performances. A volte prima di una gara ho paura. Poi quando mi ci trovo in mezzo, i timori restano alle spalle e mi lancio nella mischia. Ma certo non è più come prima.
– Hai qualche gara importante in programma?
No, quest’anno ho deciso che voglio soprattutto divertirmi. Voglio rigenerare la mente e voglio fare gare “a ruota libera”, senza programmi e senza un’agenda definita. Del resto con il Coronavirus molte manifestazioni sono state annullate. Mi piacerebbe però correre la Trans d’Havet a fine luglio.
– Il 6 giugno compirai 37 anni. Come ci si sente dal punto di vista atletico a questa età? Per il trail running è diverso che in altri sport?
Ormai l’età sportiva si è allungata molto. Vale per tutti gli sport, anche nell’atletica leggera. Catherine Bertone a Berlino ha fatto il suo personale di maratona in 2h28’34” stabilendo il nuovo record del mondo master 45 di specialità. Nel trail ci sono alcuni atleti – come Caroline Chevron – che gareggiano fino a 50 anni. In realtà il movimento trail si è ringiovanito molto da quando c’è stato il grande boom nel 2012-2013. Però ci vuole molta testa in questo sport. Soprattutto nelle gare più lunghe, dove non basta avere una buona “carrozzeria”. In quanto a me, non mi pongo limiti. Correrò fino a quando avrò la passione per farlo.
– E adesso come concili la segregazione imposta dal Covid-19 con la necessità di uscire ad allenarti?
In questo periodo non sto correndo. Resto a casa. E per colmo di sfortuna il tapis roulant che utilizzavo per correre in salita, dopo 12 anni di onorato servizio si è rotto. Corricchio un po’ nell’appartamento o in cortile, ma non riesco a fare più di 4-5 km. Quindi più che altro mi sto dedicando a lavori muscolari, potenziamento, coordinazione, stabilità. Mi esercito un’ora al mattino e poi faccio un’altra sessione la sera.
– Cambia anche l’alimentazione di un’atleta, quando si è costretti a stare a casa?
Continuo a seguire il mio regime dietetico normale: cerco di evitare i carboidrati semplici (come il pane), tanta verdura, proteine. E ogni tanto cedo alla tentazione di qualche cioccolatino.
– E quando sarà finita questa lunghissima quarantena, cosa succederà? Dopo mesi trascorsi tra quattro pareti, gli spazi esterni sembreranno sconfinati, anche a livello psicologico…
Prima del Coronavirus uscivo con il mio Golden Retriever tutti i giorni. Andavamo a esplorare nuovi percorsi. Restavamo in giro per ore. Adesso mi guarda perplesso, quando rientriamo dal giretto sotto casa. Ecco, quando ci lasceremo alle spalle il Coronavirus, mi piacerebbe “perdermi” con lui. Sia a me che a Speedy manca molto il contatto quotidiano con la natura. Ed è struggente questo distacco proprio ora, in primavera, quando il mondo si risveglia. Quando finalmente potremo uscire, sono convinta che tutti apprezzeranno ancora di più queste cose.
© riproduzione riservata